IL CAPPOTTINO VERDE (racconto inedito) - FILOMENA BARATTO

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IL CAPPOTTINO VERDE


Le foglie scricchiolano sotto i miei piedi mentre passeggio lungo il viottolo che porta verso i Tre Monti. Sono giunta fin qui per vedere la vecchia casa della nonna dove sono cresciuta. Il sole volge al tramonto e la stradina stretta e tortuosa è ormai nell'ombra, mentre, in lontananza, gli ultimi raggi ancora caldi illuminano la collina. In prossimità del cancello, sotto l'arco del palazzo borbonico, mi fermo per il silenzio tombale che avvolge il luogo. I piccioni, che prima nidificavano sotto gli smerli, hanno lasciato il posto e il cancello d'ingresso è chiuso; a destra lunghe ragnatele pendono dalla grande finestra. Non c'è anima viva. Mi sono illusa di trovare qualcuno e poter scambiare qualche parola. Mi dirigo di fronte, verso il cancello dei vicini e lo trovo spalancato, ma all'interno non si apre più il viale delle ortensie e sbirciando ho l'impressione di essermi sbagliata.
Nel cortile ci sono auto in sosta lì dove una volta c'era la cuccia del cane che mi diede un morso e ne porto ancora il segno. Là c'era la scala esterna per accedere ai piani superiori e la vigna che in autunno rideva con i grappoli appesi. Era un tripudio di colori tra le tonalità delle ortensie, il verde dei pampini e l'oro e il violetto dell'uva. Lungo il viale si alternavano ciuffi d'erba e margherite, edera ribelle e fiori di tutti i colori, mentre i profumi si spargevano come acqua di colonia.
La mia attenzione è rapita dal vecchio frantoio, fuori al cancello, dove una volta giocavamo a nascondino ed io avevo sempre paura di entrarci. Al posto del frantoio ora c'è una villetta rifinita in ferro battuto con cancello automatico e videocitofono, fiori importanti e piante esotiche. Mi sento smarrita. Come può il tempo spazzare via la mia infanzia! Eppure devo trovare qualcosa che mi riporti indietro.
A un tratto sento lungo il sentiero i passi di qualcuno che si avvicina sempre più e quasi mi nascondo per non essere sorpresa. E' una piccola donna anziana. Mi pongo davanti a lei sicura di non essere riconosciuta e invece lei si ferma, mi scruta attraverso i suoi occhialini e con tono sicuro e deciso mi fa:" Tu sei la nipote di Margherita. Oh santi numi, quanto tempo è passato da quando eri piccola così! Hai lo stesso viso, non sei cambiata, quanto sei bella, fatti dare un bacio!" Ancora incredula mi lascio prendere il viso tra le mani e devo abbassarmi per renderle il compito più facile, mentre vado alla sua ricerca tra le figure del mio passato.
Nella mia ricerca non riesco a trovare la piccola donna, ma un profumo di colonia al pino mi riporta alla sarta Eleonora e basta l'essenza per sciogliermi nei ricordi.
"Hai ragione, mi dice rendendosi conto del mio smarrimento, tu forse non ti ricordi di me, ma io ti ho cucito tanti bei vestiti. Eri una principessa... e lo sei ancora, sei identica a papà! Vieni, andiamo a casa ti farò vedere tante cose".
"La ringrazio, ma papà mi aspetta!"
"Allora hai rivisto papà?"
"Sì, sono tre anni che ci siamo ritrovati".
"Quanto sono contenta, povera creatura, hai sofferto tanto. E papà cosa dice?"
"È felice di aver recuperato un pezzo della sua vita".
"Mi devi promettere che domani verrai a casa mia, ti farò vedere un po' di foto!"
"Verrò, lo prometto".
Subito scompare attraverso il sentiero con la sua borsa da lavoro. Cuce ancora, anche se molto anziana, un po' curva nel portamento ma molto lucida. Se la mente non m'inganna, deve avere più di ottant'anni.
La sua voce ha sciolto il freddo che ho provato nel vedere questi luoghi. Tutto è cambiato. Ogni angolo qui ha un mio vissuto ma quel ricordo ora è lontano, quasi irriconoscibile. Non riesco ad andarmene, voglio ancora scorgere il viale delle ortensie per ricordare meglio e vedere la bimba di allora correre tra le braccia della vecchia Cristina, mentre piangeva in preda alla disperazione per le sue crisi di panico. Una voce mi tuona: "Signorina, cercate qualcuno?". "No, ecco... Io sono la nipote della buon'anima di Margherita, pensavo di trovare la signora Cristina".
Mi rendo subito conto che Cristina era vecchia già quando ero bambina e quindi non deve essere tra i vivi.
"No, mia nonna non c'è più, sono tanti anni che è venuta a mancare, ora abito io con la mia famiglia, nella sua casa", dice la donna meravigliata della mia domanda. La saluto e mi avvio per il viottolo da cui sono venuta.
Il sole è andato via e l'aria è fresca. Camminando, penso a quante volte ho percorso questa strada anche al buio, da piccola. A pochi metri abita mio padre. Appena entro nel cancello del suo podere, mi viene incontro cercando di capire il motivo del mio ritardo. Gli racconto dell'incontro con la sarta. "Ti vedo affaticato", gli dico, "Ti sei stancato, te lo leggo sul volto e, quando accade hai la palpebra calante". Papà ride, ogni volta che gli dico della palpebra. Cerco di sdrammatizzare da quando è stato operato al cuore. Raccogliamo il cesto con l'uva, i panni da lavoro, le provviste e partiamo per casa mia. Mio padre vive con me da quando ci siamo ritrovati, dopo tre decenni e più di lontananza.
Quando si separò da mia madre, non aveva trent'anni, ora ne ha quasi settanta e non ce la prendiamo nemmeno più col tempo, anzi lo viviamo. Da quando sono arrivata io, anche il suo secondo matrimonio è andato a rotoli: troppi sentimenti da gestire, vecchi e nuovi, troppi vuoti e mancanze, paure, gelosie, si sono rotti tutti gli equilibri. Siamo legati, ora, come la foglia all'albero e tremo il giorno che dovrò staccarmene. Di giorno passa il tempo nella vigna e nei nostri prati, poi di sera torna a casa. Spesso mi ritrovo, a notte fonda, a passeggiare su e giù per il corridoio per ascoltare il respiro di mio padre, perché temo di perderlo e non lo sopporterei dopo averlo incontrato così tardi nella mia vita. Dopo l'intervento al cuore, mio padre non fa più progetti, vive temendo di dovermi lasciare. Gli piace portarmi a spasso, cucinare per me, guardare il mio sorriso e perdersi nei miei occhi così uguali ai suoi. Ho imparato una nuova felicità: amare il mio tempo di oggi, specchiarmi nello sguardo di quest'uomo che non ho mai sentito mio ed essere contenta di poter vedere anche le sue rughe. Ho nel cuore un tumulto continuo che a tratti mi toglie il respiro ma se non ci fosse, non saprei più vivere.
Di mattina mio padre è un incanto, ha un sorriso smagliante, un umore da ventenne e tanta voglia di fare. Gli ricordo che dobbiamo andare da Eleonora e con piacere mi accompagna. Arriviamo in piazza ma una folla ci impedisce di passare. Scendiamo dopo aver parcheggiato e notiamo un drappo viola all'ingresso dello stabile. Vedo un manifesto e mi avvicino per leggere: mi ha lasciato anche lei, l'unica che ha dato calore ai miei ricordi, Eleonora. Papà mi stringe a sé e mi ricorda che aveva una bella età. Non ci posso credere! Vado a porgerle l'ultimo saluto. Quando giungo accanto al suo letto, la figlia mi abbraccia, ringraziandomi per la visita: "Lei aspettava di rivederti da tanto, mi diceva che voleva vedere la bambina dal cappottino verde, te lo ricordi il cappottino che ti cucì da piccola? Ne cucì un altro uguale al tuo, per averti sempre con lei". Poi Mariuccia mi lascia un attimo e va in camera a prendere il cappottino, un pezzo della mia infanzia tra le sue mani. Mio padre guardandomi mi dice: "È così che sei rimasta nella mia mente, con questo cappottino verde".


il racconto ha vinto il premio Domenico Rea a Empoli






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