GIALLO MILANESE (racconto inedito) - FILOMENA BARATTO

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GIALLO MILANESE


 
Marella camminava a passo svelto in via Montenapoleone, a Milano, con una falcata che lasciava di stucco coloro che le passavano accanto. Lei, fiera del suo statuario corpo, avanzava con movenze leggiadre, lasciando volare lo chiffon della gonna e i lunghi capelli all’indietro, e sbirciava, con un sorriso malizioso, la sua immagine nelle vetrine. Presa dall’ebbrezza di aver firmato un contratto per due servizi fotografici, come modella, per una nota casa di moda, era fuori di sè. A tratti rallentava e mostrava un sorriso sornione: dopo tante insistenze e, grazie alla sua testardaggine, era riuscita a ottenere di inserirsi nel mondo della moda. Decise di affrettare il passo, il treno che la portava a casa, in Sicilia, partiva di lì a poco e, intrufolandosi tra la folla, perse la sua immagine nelle vetrine.
 
Scalzava le persone che le andavano incontro, ora scendendo ora salendo sul marciapiede. Poi, urtando un passante, la borsa a tracolla le cadde e tutto il contenuto finì al suolo. Accovacciata a terra, raccolse alla rinfusa gli oggetti sparsi sulla strada. Una mano, raso terra, s’infilò tra le sue a raccogliere le ultime cose, per poi defilarsi tra la gente. Marella non riuscì a vedere il volto dell’uomo. Di sicuro quella mano l’aveva vista, ma di chi fosse, fu un mistero. Trafelata e sconvolta arrivò alla stazione. Il timore di aver perso il treno non le agevolava la lettura del numero di binario sul display. Chiese a qualcuno, e seppe che c’era in atto uno sciopero di alcune ore. “Proprio non ci voleva” pensò dirigendosi al bar. Mangiò qualcosa e sedette sotto il tabellone, tenendo lo sguardo fisso alle partenze. Era stanca. L’emozione della giornata l’aveva divorata! Non vedeva l’ora di tornare a casa e raccontare del nuovo lavoro, lei che da tanto voleva fare la modella. Si soffermò sull’idea di non poter contare né su un padre né un nonno o un fratello. D’altra parte non è con le loro forze che le donne, soprattutto al sud, si alzano dalle difficoltà? Chiedere di un padre o un fratello che faccia da tutore era come ammettere che da sola non poteva farcela. Bandito quel pensiero, si ritrovò ad andare a ritroso nel tempo fino ad arrivare a suo padre. Erano anni che era andato via di casa, trasferendosi al nord. Non volle pensarci, troppo doloroso, meglio vivere il momento. Prese un altro snack dalla borsa e cominciò a sgranocchiarlo. Una gamba sull’altra, le braccia raccolte in grembo e gli occhi grandi spalancati e fissi in un punto lontano. Rivedeva quel padre che una volta c’era e poi come per magia, scomparve. Come si può sparire così nel nulla e senza alcuna sua notizia da anni? A certe domande, rifletteva, non ci sono risposte, per quanto si cerchi di capire.
 
Sempre fissando il suo punto lontano, tanto da non vedere il passaggio dei viaggiatori che le scorrevano davanti agli occhi, si focalizzò sul braccio dello sconosciuto accorso ad aiutarla e ricordò di aver visto un piccolo tatuaggio: una lampara. Diventò inquieta. Raccolse la borsa e, dimenticandosi della partenza e del treno, si avviò sul luogo, lì dove qualche ora prima le era caduta la borsa. Giunta sul posto, una piccola folla assiepata, come un cordone a un lato di strada, osservava un uomo riverso al suolo. Una volante fece largo tra gli astanti. Marella non capiva che cosa fosse successo, c’era un corpo sull’asfalto. Si avvicinò ma aveva il volto coperto da un braccio. Fu caricato e portato all’ospedale. La polizia le fece qualche domanda e poi la invitò ad andare con loro. Lei si offese, che c’entrava con quell’uomo? E soprattutto non capiva perché la portassero via. Protestò appena sedette nell’auto accanto all’agente, ma non sortì alcuna risposta. Dopo un po’ giunse in caserma e lì attese. Il giovane commissario le chiese il motivo per cui fosse lì e da quanto tempo. Dava per scontato che conoscesse il pover’uomo. Rispose sempre e solo di essere lì per caso ma il commissario Spano, questo il suo nome, non le diede credito. A quel punto Marella chiese di poter andare via, dicendo che doveva tornare a casa, in Sicilia.
                                                                                                                                                                
“Signorina, dovesse andare anche a New York, io non la posso mandar via, lei è l’unica testimone.”
“Ma io mi sono trovata lì per caso, non c’entro con quello che è accaduto, non conosco nemmeno chi sia questo signore.” Mentre discutevano, giunse la notizia del decesso dell’uomo e il commissario dovette trattenerla per forza.
“E poi”, continuò Marella, “con me c’erano altre persone.”
“Ma lei era l’unica a trovarsi proprio accanto a lui.”
Era vero! Ripensandoci, aveva fatto quella sciocchezza. Si era abbassata per capire chi fosse l’uomo, che affondava il viso tra le braccia.
Non le restò altro da fare che telefonare a casa per dire che sarebbe rimasta ancora qualche giorno. Celando il vero motivo, si giustificò dicendo che doveva perfezionare il contratto. Dopo si addormentò per la stanchezza. Un filo di luce filtrava attraverso la persiana abbassata nella stanza dove era stata confinata, raccolta su un divano, peraltro scomodo. Accarezzò il suo viso, come se avesse voluto rincuorarsi a non perdere la fiducia. Restò lì tutta la notte, d’altra parte non sapeva dove andare.
Il mattino dopo si svegliò di soprassalto e fece fatica a ricordare l’accaduto. Un baccano all’ingresso della caserma la scosse e un brontolio di stomaco la indusse a scuotersi. Era affamata. Il commissario si scusò di averla trattenuta ancora lì e finalmente la congedò. Le videocamere della strada avevano accertato che l’uomo era già riverso a terra quando lei giunse sul posto.
Marella lasciò il commissariato come un automa. Entrò in un bar per mettere qualcosa nello stomaco e pensò che avrebbe fatto bene a ritornare subito a casa prima di finire gli ultimi spiccioli rimasti in tasca. Subito dopo si diresse alla stazione senza voltarsi indietro.
Questa volta non osò girarsi dalle parti delle vetrine: avrebbe visto un mostro rispetto alla ragazza del giorno prima.
Dopo pochi metri, dalla pagina di un giornale di un’edicola, notò le foto dell’accaduto, di cui lei era stata protagonista, e su scritto: “Alfio Montuori assassinato a Milano per un regolamento di conti. Preso di mira dalla mala, si era rifugiato al Nord. Qualcosa lo ha tradito per arrivare a quest’epilogo”.
Marella comprò il giornale, aprì la pagina e chiamò casa: “Mamma, mamma, è successo una cosa orrenda”, spiegando ciò che le era accaduto. Riconobbe in quell’uomo suo padre. Tanti anni ad aspettarlo, e lui? Era scappato. Piangeva, tenendo il giornale aperto sotto gli occhi mentre le lacrime bagnavano buona parte delle parole tra le pagine. Passò nel punto di strada in cui il giorno prima, l’uomo, che ignorava fosse il padre, la aveva aiutata a raccogliere gli oggetti sparsi al suolo. Si guardò intorno. Ora si teneva lontana dalle vetrine, aveva da ricordare, s’imponeva di riacciuffare il fantasma del padre. Aveva visto sul suo braccio quella piccola lampara. L’aveva sin da quando era ragazzo. Era il segno di quelli che appartenevano ai pescherecci della famiglia Montuori: ciascun figlio una lampara al braccio, il segno di mare addosso, quel mare che tutta la famiglia aveva dentro, a cominciare dagli occhi.  
Marella sostò a lungo in quel posto. Qualcuno la scalzava, qualche altro la urtava, ma lei rimase lì, immobile. Se almeno lo avesse guardato negli occhi, avrebbe potuto riconoscerlo e stringergli le braccia al collo. Suo padre che aveva creduto disperso per il mondo, invece si era trasferito a Milano. Non voleva abbandonare quel pezzo di marciapiede: era accaduto tutto così in fretta. Le forze le mancarono tanto da farla cadere seduta a terra, senza alcuna preoccupazione dei passanti che le gettavano occhiate di meraviglia o di pietà. Lentamente, trascinandosi, si alzò. Continuava a girarsi dietro per vedere di non dimenticare nulla. Una macchia di sangue stemperata sull’asfalto le diede un tonfo al cuore: apparteneva a suo padre. Si abbassò, l’accarezzò, come unica prova tangibile che appartenesse a lei.
Quando si rialzò sentì un senso di vuoto e non ebbe altro da fare che tornare al commissariato. Il giovane Spano si chiese cosa ci facesse ancora lì e in un primo momento addusse il suo ritorno a una dimenticanza, poi, vedendola così triste, comprese fosse per altro.
“Commissario”, gli disse mostrandogli il giornale, “quell’uomo era mio padre e nemmeno lo sapevo.” E pianse come una bambina.                                                     
“Oh”, rispose Spano, “cosa dice? Come può essere suo padre?”                                                                                                               
Gli raccontò la sua storia. Il giovane rimase a secco si parole, non sapeva nemmeno come confortarla. Si avvicinò cingendola con un abbraccio. Le chiese di restare ancora un po’, così da accompagnarla lui alla stazione. Temeva per le condizioni in cui si trovava. Lei lo ringraziò ma decise di andare da sola. Fu difficile salutarsi dopo quella confessione così accorata.
In stazione il treno scalpitava come un cavallo pronto al galoppo. Lei raggiunse la sua carrozza e il suo posto come da biglietto. Pochi minuti e il treno partì lentamente, poi, uscito dalla grande e spettacolare galleria milanese, prese velocità. I palazzi sfrecciavano velocemente, le palpebre di Marella non reggevano alla vista abbagliante di un sole primaverile e si assopì, composta, con la testa appoggiata al finestrino. A poco a poco non sentì più nemmeno il rombo del motore e cadde in un sonno profondo. Rivide la scena del giorno prima, l’uomo a terra, il commissario che la incitava a salire, lei atterrita per essere chiamata in causa senza saperne il motivo.
Il commissario le apparve come inferocito, le inveiva contro, e lei, spaventata, indietreggiava fino a cadere nelle braccia di un uomo sconosciuto. Aprì gli occhi, colta dallo sguardo dolce e sorridente del controllore, che attendeva il suo risveglio per chiederle il biglietto. Rimasta ancorata al sogno, si sentì in pericolo. Si alzò dal suo posto e, dopo aver mostrato il biglietto, fu terrorizzata da un uomo dallo sguardo strano e torvo proprio di fronte a lei. Don Abbondio avrebbe riconosciuto in quel losco essere, un bravo. Lei andò in bagno e, nella spirale della paura che qualcuno potesse seguirla per il fatto accaduto a Milano, chiamò il 113. Chiese di poter comunicare col commissario Spano, al quale palesò la sua preoccupazione. Dall’altro lato, Spano la tranquillizzò. Le ordinò di scendere alla stazione di Bologna dove avrebbe trovato i suoi colleghi a prelevarla. Più rilassata, ma sempre spaventata, ritornò al suo posto. Il tipo era ancora lì, non aveva più dubbi: era lei il suo bersaglio. Il viaggio fino a Bologna la rese tesa e preoccupata. Non aveva mai accumulato una tale tensione.
Quando il treno entrò in stazione, Marella trovò, ad aspettarla, agenti in borghese, che la scortarono fino al commissariato. Nel percorso perse conoscenza e cadde a terra, ormai esausta. Dovettero soccorrerla. Fu a Bologna che apprese del delitto al padre.  A Marella sembrò ancora un sogno quello che stava vivendo, un brutto sogno che non avrebbe mai immaginato di vivere.
                                                                                                                                                                             
Tornò a Milano accompagnata dagli agenti, doveva collaborare per le indagini che furono lunghe e laboriose. E dopo tante pene vissute, sotto scorta di protezione, si cominciava a fare chiarezza sull’accaduto: era stato proprio Alfio, il suo papà, che, saputo dell’arrivo della figlia a Milano, voleva difenderla, inserendo nella sua borsa una microspia per controllarla. L’operazione non andò a buon fine e i suoi aguzzini ne approfittarono nel suo unico momento di debolezza: quello di proteggere sua figlia. L’omicidio accadde esattamente qualche minuto dopo che Marella, raccolta la borsa, girò l’angolo.
Nella casa milanese del padre trovarono un diario dove, tra le pagine, si leggeva, rivolto ai familiari: “Perdonatemi, per avervi lasciato senza alcuna spiegazione. Sono venuto meno alle richieste di gente senza scrupoli e, non potendo scendere a patti con loro, ho scelto di allontanarmi, anche per proteggervi. Ma se esiste un mondo giusto, la pagheranno. Solo Dio sa quanto vi ami. Perdonatemi per avervi privato di me, desidero solo tenervi lontano da questa vita di merda. Spero un giorno di rivedervi!”
Dopo la lettura delle pagine di diario, Marella ne uscì sconvolta.
“Non so come tirarla su da questa brutta storia, ma forse un po’ d’aria potrebbe farla stare meglio. Le va una passeggiata ai Navigli?” suggerì il commissario.
Marella non fece in tempo a rispondere che Spano già le aveva preso la mano e la tirava, per evitare che gli dicesse di no.
“Non si preoccupi, può stare tranquillamente in silenzio, lei non sa quanto io sia loquace. Potrei raccontarle la mia vita, ma solo cose allegre, giuro.” Riuscì ad avere un sorriso di circostanza tanto che Marella gli disse: “Commissario, non ci starà provando?”
“Non ci pensi nemmeno, ho già preparato la scorta che la riporterà in Sicilia. Milano non fa per lei.”
“Che cosa dice? Ho un contratto con una casa di moda. Non vorrà mica che ci rinunci?”
Il giovane commissario tenne fede a ciò che le aveva detto: la portò ai Navigli e dopo averla rasserenata un po’, la spedì in Sicilia a una condizione: “Qualora dovesse ritornare a Milano, sarei il primo doverlo saperlo, d’accordo? Devo disporre per la scorta, senza, qui ormai non può girare, è sotto sorveglianza.”

Il viaggio fu lungo ed estenuante. Quando scese dal pullman, che da Messina la portò a Sant’Alessio, i bei sogni costruiti all’andata si frantumarono. Sembrava che la sua trasferta fosse avvenuta solo per conoscere quell’infausta verità. Ma decise di non mollare, contando sul commissario Spano che l’avrebbe tenuta d’occhio con la scorta. Era l’inizio di una nuova vita: tutto dipendeva da lei.
Se avesse rinunciato al suo sogno per paura, non se lo sarebbe mai perdonato. E poi suo padre aveva pagato con la vita la sua disobbedienza. Il sole la illuminò così intensamente che vide in quel segno un chiaro assenso di suo padre.






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